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sabato 21 luglio 2012

Se il Marketing non cambia, perché non cambiamo marketing? I tempi ormai sono maturi, diamo un senso vero al cambiamento




Domenico Gioia
Una delle parole più usate, inflazionate, iper diffuse è “cambiamento”. Ne sentiamo parlare ovunque, nelle piazze, nelle scuole, nei negozi, persino nei bar di periferia:
-“Ah… se le cose non cambiano…” “Ormai è ora di cambiare”.
Ma di fatto, cosa dobbiamo cambiare e perché? Chi, cosa, ha deciso che le cose devono cambiare,  e perché poi devono cambiare? Il messaggio che i media cercano di far passare è quello del cambiamento a tutti i costi, per troppo tempo, noi che studiamo, la società, la sua evoluzione, ci stiamo chiedendo cosa poi veramente è giusto che cambi. Il “challenge” è questo. E’ come se la società cercasse di arrestare, rallentare il cambiamento, e chi dirige, comanda, cioè chi ha in mano il timone ci ammonisse di cambiare, di affrettarci verso il cambiamento.” Il mondo cambia, dai muovetevi”… Il problema, cari signori è che quello che vi sto raccontando è vero, verissimo, solo che c’è solo un piccolissimo particolare, è la società, che sollecita chi dirige a cambiare, c’è una massa che ha capito, cos’è il cambiamento, come avviene, e non intende aspettare oltre. Ogni minuto, anzi secondo perso ad aspettare vanno perse centinaia, migliaia di occasioni di lavoro, di sinergia, di collaborazione. 
Carmen Colibazzi per Urliamo!
Si bruciano milioni di dollari e di Euro, in attesa che la classe politica addormentata, assonnata, assopita, recepisca il messaggio, prenda delle decisioni, ma poi alla fine c’è chi prende le decisioni e attiva le sue strategie, lasciando indietro, la deriva della politica, della pseudo economia. Il sistema, arrancando, barcollando, come un ubriacone, in preda alla sua ennesima sbornia tenta di inseguire, inciampa e le borse cadono migliaia di risparmiatori, perdono i loro risparmi, le loro certezze, attenti, perché per loro quei soldi erano una certezza, un’assicurazione di futuro tranquillo, dopo tanti anni di sacrifici.
Ma il mondo finanziario, la vera economia, quella che non si studia sui libri, quella che fa realmente incontrare domanda ed offerta, decide, anzi ha deciso che il futuro del Sig. Bianchi non deve esistere, che i suoi risparmi non ci saranno, che saranno inglobati, fagocitati da questo orrendo mostro che si chiama crisi.
L’abbiamo fatto il nome, l’abbiamo detta questa parola che fa paura a tutti “crisi”.
Che bello, poter trovare sempre un termine che possa giustificare le proprie azioni, in tutta Europa si sta tentando, di smantellare lo stato sociale, difficilmente e con grande sacrificio costruito, per lasciare il posto ad uno stato che agisce solo con il principio di sussidiarietà per tutto ciò che è sociale, condivisibile.
Con la scusa che tutto quello che è sociale è un costo, non solo inutile ma anche pericoloso e li la crisi è pronta a ricordarcelo, si smantella una delle più grandi conquiste sociali che l’epoca nostra e dei nostri genitori sia mai stata costruita.
Monica Cordiviola per Urliamo
Botta dopo botta, colpo dopo colpo il sistema abbatte con la scure del terrore della povertà uno dei pilastri della società. Un sistema basato non sul privilegio ma sul poter assistere chi non ha i mezzi, o chi ne ha pochi e vorrebbe rimettersi in piedi.
Qui però è mancato lo Stato che avrebbe dovuto vigilare sui finti “bisognosi”, su coloro che per anni hanno ricoperto posti pubblici senza svolgere il loro lavoro, difesi dai sindacati. Queste persone oggi sono altrettanto colpevoli del degrado, quanto il sistema di potere che cerca di smantellarlo.
Con la scusa del cambiamento, di una ipotetica ripresa si taglia indiscretamente una fetta di benessere dei cittadini più poveri, che sono continuamente chiamati a intervenire per sanare gli errori altrui.
E’ una guerra e come tutte le guerre, vengono sacrificati i figli di chi non ha colpe. Masse di giovani oggi vengono immolati in modo diverso dal passato non mandandoli verso la morte, ma non facendoli vivere, non dando loro un futuro, costretti a vivere come in guerra senza sapere cosa sarà il domani.
I nostri genitori, nonni hanno vissuto sulla loro pelle la guerra, la distruzione, in nome del nulla, oggi è il nulla la vera guerra da vincere. I giovani sono costretti in gabbie consumistiche dove gli status simbol tecnologici hanno sostituito le bombe. I rapporti massificati dei social networks, dai quali non ci si può separare, pieni ormai di frasi fatte e stereotipi, impediscono il ragionamento la creatività; l’assenza dell  a famiglia, dell’autorità scolastica completano lo schema. I giovani così sono in balia di se stessi di falsi miti, di riferimenti totalmente inconsistenti. E’ come se qualcuno avesse messo il pilota automatico della società impostando la navigazione verso il nulla. E quando il parametro è il nulla è facile riempire la mente con dati inutili ed inesistenti.
Emma scialpi per Urliamo
Ecco che in questo drammatico scenario l’uomo di marketing della nostra era, deve paradossalmente diventare portatore di nuove teorie, scoprire e far scoprire che esistono i sentimenti, che vale la pena vivere sentire, accorgersi di essere. Il vero uomo di marketing che sa come muovere “onestamente” le leve deve lui per primo ribellarsi e iniziare a liberare le strade del pensiero dalle incrostazioni, dalle erbacce e detriti mentali che ne impediscono l’ingresso. Perché il professionista di marketing e non altri? Facile l’uomo di marketing, conosce le scorciatoie, come reagiscono i consumatori, gli utenti, che io chiamerei le persone, sa dove andare a stimolare.
Questo potrebbe essere il modo di chiedere perdono, per rimediare in parte del danno creato in questi anni di propaganda di bassa lega, dove abbiamo fatto ingurgitare di tutto a bambini famiglie, in nome di un benessere inutile, futile. Io primo mi metto a disposizione di questo cambiamento, di questo nuovo modo di pensare più social, dove i prodotti prima devono avere un’utilità vera, reale per il consumatore e dove i cambi di modelli tanto repentini quanto inutili tanto cari alle aziende automobilistiche, alle fabbriche di telefonini, di computer,  per intenderci devono essere rifiutati dal sistema. Questo modo di agire oltre che sprecare ricchezze, fa sostituire apparecchi ancora validissimi che potrebbero svolgere il loro compito egregiamente, aumentando l’impatto ambientale e lo spreco. Vi siete mai chiesti cosa si sarebbe potuto fare con quel denaro?
Pensare che si possa continuare ad insozzare il pianeta con gli scarti di questo consumismo ormai non solo inutile, ma anche fastidioso, senza sosta, mi irrita e nello stesso tempo mi indigna.
Le aziende della “nuova era”, devono convincersi che un buon marketing può fare il loro successo, la differenza. L’importante è capire che i tempi sono cambiati, gli interlocutori maturi, gli spazi di manovra ristretti. E’ da questo ambiente che nasceranno le nuove idee, i giovani dovranno imparare a chiedersi i perché. Senza un perché la strategia è vana, tutto il lavoro è vano, è come navigare senza rotta in un mare che minaccia tempesta.

Tania Bini
A voi giovani mi appello affinché vi ribelliate a questo mondo, a questo stato di cose. Non fatevi comprare con l’ultimo I-phone, dall’ultimo I-pad, tra neanche tre mesi saranno superati da un nuovo modello. La vostra protesta deve alzarsi utilizzando, come dei virus, le sovrastrutture dell’organismo che vogliamo modificare. Inseriremo nel circuito le nuove idee e le diffonderemo, dovremo segnalare continuamente urlando, la pericolosità di questo momento che stiamo vivendo.
Lo dobbiamo fare, perché siamo in debito con tante persone, innanzitutto i nostri figli e i giovani che aspettano da noi un segnale, non possiamo chiedere loro di scrollarsi di dosso l’immondizia del sistema e poi noi comportarci in modo ultra prevedibile, convenzionale.
E’ ora di darsi da fare, rimbocchiamoci le maniche.

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