Translate

giovedì 19 settembre 2013

Vicini alla catastrofe

Era il 22 Aprile 2009, quando Giuditta Mosca Giornalista della Repubblica Web pubblicò il suo articolo: “Urliamo arte e nuove tecnologie contro il potere della TV”


Uno spaccato del progetto culturale che il sottoscritto aveva avviato almeno un anno prima.
L’idea era nata da approfondite riflessioni sullo stato dell’integrità intellettuale della nostra società, che vive sotto la continua influenza della comunicazione filtrata dai media, in particolare dalla televisione. Già anni prima (1999) il Professor Giovanni Sartori, aveva evidenziato nel suo libro intitolato Homo videns, la difficoltà di sopravvivenza del libero pensiero in questo sistema definito ironicamente“democratico”; un grido d’allarme, che doveva far aprire gli occhi alle persone e metterle in condizione di avviare un percorso che le portasse almeno ad esigere la sopravvivenza della verità.
Nonostante siano passati molti anni dalla sua pubblicazione, questo testo risulta essere ancora molto attuale, in particolare mostra in tutta la sua drammaticità la“perversione dell’opinione” in cui “quello che esiste è quello che si vede”,“quello che non si vede non esiste e quello che si vede sbagliato cioè il falso viene creduto vero”.
Anche Pierpaolo Pasolini in un suo filmato del 1974, davanti al panorama di Sabaudia città fascista, dall’architettura sfacciatamente fascista, con la faccia sferzata dal vento in riva ad un mare in burrasca, lanciò un messaggio,forse il più forte e sfacciatamente premonitore: 
quella acculturazione,omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere di oggi, il potere della civiltà dei consumi, riesce ad ottenere perfettamente” .
Pasolini evidenzia quanto la società dei consumi che in quel periodo, ora lo sappiamo con certezza, era solo addirittura all’inizio della sua catastrofica e implacabile azione, sia stata in grado di cambiare in negativo le abitudini delle persone e questo è stato soprattutto possibile grazie al supporto del mezzo televisivo. 
Sappiamo quanto Pasolini fosse critico nei confronti di quest’ultimo, infatti a dimostrazione di ciò, alcuni anni prima (1971) intervistato da Enzo Biagi in un programma televisivo dichiarò:
“la TV è un mezzo di massa e come mezzo di massa non può che modificarci ed alienarci” e continua in modo lucido e direi anche profetico,”il medium di massa in se, nel momento in cui qualcuno ci ascolta nel video, ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore che è un rapporto spaventosamente antidemocratico”.

Tutte queste manifestazioni, affermazioni,in cui si evidenzia il totale squilibrio spettatore mezzo televisivo, mi hanno fortemente lasciato pensare quanto si sia spostato ulteriormente l’asse, e cioè quanto le scienze sociali utilizzate abilmente quanto subdolamente, all’inizio solo dai pubblicitari e autori TV, poi visto che le cose funzionavano dai politici, con i pessimi risultati che abbiamo sotto gli occhi, possano aver influenzato ed influenzano ancora le nostre scelte, lasciandoci pensare il contrario di quello che avviene, e cioè di vivere in un mondo libero in cui le scelte sono soggettive, prese in autonomia. Paradossalmente, nel momento in cui la società democratica  sconfigge il mostro delle dittature queste vengono sostituite in modo molto più subdolo, non da uno stato di polizia, o da un regime dittatoriale che nega la libertà, ma da un sistema che riesce a manipolare le scelte dei suoi cittadini che ama chiamare consumatori; consumatori di cibi, di auto, di oggetti, spesso totalmente inutili, ma che grazie a questo sistema appaiono indispensabili, sempre più indispensabili. 
La televisione ancora oggi, appare in grado di manipolare, orientare, dirigere la società iperconsumistica in mano ormai alle multinazionali ed ai poteri forti, come denunciò l’ormai dimenticato Salvador Allende nel suo discorso alle nazioni unite nel 1972, discorso che forse gli costò la vita: 
“…la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta, le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi in cui hanno sede…”.

Potere, multinazionali, interessi privati, manipolazione delle masse, questo scenario, è in grado di lasciare attonito chiunque di noi,tanto da giustificare l’atteggiamento fatalista di Pasolini, il quale riteneva, già allora, che non ci fossero più spazi di manovra, tutto fosse ormai compiuto. Eppure nonostante gli avvertimenti degli intellettuali, la società così abilmente manipolata, è andata avanti in questo processo di auto distruzione di appiattimento di omologazione e disfacimento intellettuale.
Oggi dopo 40 anni lo scenario è sconvolgente e allo stesso tempo deprimente, il potere, grazie all’ausilio dei mezzi di comunicazione di massa, l’uso deviato delle scienze sociali e non in ultimo del marketing, hanno portato alla totale omologazione anche dei giovani, unica speranza rimasta, come baluardo capace di resistere e contrattaccare.
Solitamente i giovani, in passato, erano quelli che per primi contestavano lo status quo e questo ha permesso una sorta di ricircolo dell’aria, una sorta di ricambio delle idee. Questo però è stato possibile sino alla fine degli anni 70, oggi, la voglia indotta di inserirsi in gruppi di successo, lo spirito di appartenenza a questa tribù orwelliana è tale che i feticci mostrati con spavalderia ed orgoglio, quali capi di marca, telefonini ipertecnologici utilizzati solo per il 10% delle loro reali potenzialità e presto assurdamente obsoleti, pronti ad essere sostituiti con un altro costosissimo quanto inutile nuovo modello, altro non sono che la palese dimostrazione di quanto il potere dei media abbia costretti i giovani nella sua gabbia. 
La grande abilità di chi dirige, di chi muove i fili di questo sistema, sta nel lasciar credere che da questo “gioco” si è liberi di uscire in qualsiasi momento. Chiunque può lasciare il tavolo in cui sta giocando, ma la realtà è profondamente diversa, non è così.
Quando si è dentro il meccanismo, si corre, non per essere primi, ma per esserci, per dimostrare di essere in grado di contare qualcosa. Allora ci si improvvisa “personaggi” in grado di saper sviluppare le “pubbliche relazioni” non importa dove, se nel proprio condominio, quartiere, paese, discoteca.
La parola d'ordine è essere visibili, apparire, poco conta se non c’è sostanza, tutto questo verrà bilanciato dalla notorietà e dal vecchio detto "quello che facciamo oggi tra due giorni non sarà più lo stesso". Le giovani generazioni così sono diventate peggio dei loro predecessori, di noi, che li abbiamo condotti sino al punto di non ritorno. Sono talmente "bravi" che sono riusciti a spingersi ancora oltre, in un gioco in cui ormai la non esistenza è il terreno.
In questo ambito, di non esistenza indotta, chi muove i fili sa che meno la gente pensa e più perderà la voglia, l’abitudine a farlo. Sarà mite o agitata secondo gli input, comunque sempre in grado di essere diretta, pilotata. Basterà che a fronte di uno stato crescente di disagio appaia in TV all’improvviso una faccia nuova, un nuovo personaggio abilmente costruito, che dica magari sempre le stesse cose, ma in modo diverso, con toni diversi, che risulti simpatico, che le masse lo recepiscano come vicino, simile.
Gustav Le Bon nel suo famoso testo "Psicologia delle folle" del 1898 scriveva che le caratteristiche più visibili  delle folle sono “debole tendenza al ragionamento, l’assenza di spirito critico, l’irritabilità, la credulità e il semplicismo. Nelle loro decisioni si vede anche l’influenza dei costumi e la funzione dei fatto rienumerati in precedenza: la affermazione, le ripetizioni, il prestigio e il contagio”
Chi gestisce oggi le folle ben conosce queste tendenze, anzi le ha ulteriormente segmentate arrivando al controllo totale.
L’arte e la cultura, indice di capacità di articolare un pensiero proprio, sono emarginate, ritenute pressoché inutili,totalmente marginali. 
L'ordine è, tutto quello che può far pensare deve essere eliminato, ma non con un atto d’imperio, che susciterebbe una reazione immediata, ma con abitudini inculcate subdolamente, lentamente. Abitudini, magari quotidiane, che abbiano il compito di non far ragionare, di catturare l'attenzione.

Cosa avrebbe pensato Pasolini di tutto questo visto che la realtà, è andata drammaticamente oltre ogni più pessimistica previsione?

Il progetto Urliamo ha proprio come obiettivo la reale presa di coscienza di quello che sta accadendo, “inoculando” nella mente delle persone il virus della vitalità, della reazione al dilagante intorpidimento che porta poi alla facilità di manipolazione.

Ecco, che in base a quanto espresso ho ritenuto opportuno realizzare questo progetto culturale, che affonda le proprie radici principalmente sullo stato indotto di convinzione di impotenza e sia strumento per una vera rottura degli schemi in cui ci hanno cacciati per tanto, troppo tempo. 
Forse c’è ancora qualcosa che si può fare, possiamo veramente ribellarci, spegnere le televisioni, iniziare nuovamente a parlare, a sentirci padroni della propria vita, discutere e programmare il nostro futuro. Forse Pasolini si sbagliava, voglio crederci, sperarci, lo devo fare per chi ha diritto ad un futuro migliore, per voi che avete letto sin qui, per mia figlia, per chi amo.

Domenico Gioia Autore di Urliamo


Domenico Gioia©  Si autorizza la riproduzione citando l'autore.


Nessun commento:

Posta un commento