Nell'ambito della mia professione di consulente, spesso vengo a contatto con aziende interessate ad internazionalizzare, ma questo oggi è ancora possibile con le solite tecniche o occorre specializzarsi?
La maggior parte degli imprenditori contattati mi ha rivelato di essere molto delusa e di non aver raggiunto il benchè minimo risultato.
E' possibile oggi, anche a seguito della stagnazione del mercato nazionale,arrivare ad avviare rapporti di collaborazione con paesi esteri soprattutto, con paesi in via di sviluppo senza creare problemi all'azienda, ai suoi equilibri, e raggiungere risultati che giustifichino l'investimento?
Nell'ambito dei paesi emergenti, possono convivere le nostre culture consumistiche con quelle di di questi paesi?
Sono domande a cui ogni azienda che intende sviluppare nuovi rapporti di carattere internazionale deve porsi.
Spesso i risultati non arrivano perchè molti imprenditori attivano la strategia dello squalo. Questa logica è legata al comportamento del predatore che si avventura in acque non conosciute forte del suo status, avventandosi ferocemente su qualsiasi cosa si muova.
Purtroppo non deve essere così, anzi spesso non si valuta che in acque poco conosciute si possono incontrare altri squali, di dimensioni molto più grandi delle nostre, pronti a sbranarci senza pietà.
L'imprenditore "squalo" solitamente approccia il mercato internazionale in modo confuso ed occasionale. Queste aziende si affacciano ai mercati esteri in modo poco professionale e spesso presuntuoso, convinte che la loro impostazione sia corretta e che dei loro prodotti ci sia un estremo bisogno.
Questo atteggiamento deprecabile, è dovuto al fatto che non si analizzano preventivamente le proprie potenzialità.
Il loro approccio è frutto di contatti sviluppati in fiere di settore, fondamentalmente a seguito di una richiesta sporadica ed occasionale di fornitura.
La svolta all'internazionalizzazione invece deve essere frutto di azioni professionalmente ponderate ed attentamente selezionate.
Innanzi tutto, credo sia corretto studiare approfonditamente la situazione del paese in cui si intende avviare un rapporto di commercializzazione, studiarne gli usi e la cultura, al fine di evitare gaffes e/o errori che potrebbero inquinarne il corretto sviluppo.
Poi ovviamente affidarsi a strutture che di professione fanno questo lavoro, consiglio vivamente di evitare di avviare rapporti con "l'amico dell'amico", anche se una persona vive in una nazione non è detto che conosca bene i meccanismi che ne regolano la commercializzazione.
Evitate le "avventure", ci sono aziende che si avviano all'internazionalizzazione della propria impresa con la stesa logica con cui si va a fare una gita.
Avviate subito rapporti, con i consolati ed ambasciate presenti sul nostro territorio, sapranno consigliarvi ed indirizzarvi sicuramente meglio dell'amico dell'amico.
Ricordatevi che un buon consulente non accetta di essere pagato a provvigioni, perchè l'azienda ha necessità di essere preparata prima in loco, sia sotto il profilo marketing, che sotto il profilo organizzativo, dovrà cedervi know how e conoscenze e questo normalmente, a meno che non sia vostro fratello, si farà giustamente pagare.
Ricordate poi che il lavoro dell'imprenditore passa attraverso l'umanità; non avviate rapporti con la logica dello "Zio Tom", del colonizzatore, ma con la logica di chi rispetta il lavoro altrui, la cultura altrui.
Il rapporto con questi persone vi farà crescere molto, perchè in alcuni casi vi accorgerete che a molte persone nel mondo, non interessa assolutamente il denaro, nel senso di arricchimento, lo considerano invece come un mezzo e non come uno scopo intorno al quale far girare la propria esistenza e quella degli altri.
Collaborare deve essere la parola d'ordine, non sfruttare.
Rispettate le esigenze, di queste persone, delle loro strutture, perchè oggi più che mai vale il concetto "fai al tuo prossimo quello che vuoi sia fatto a te".
(foto: opera dell'artista Luciano Bormann per Urliamo)
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