Quel nazista di Topolino
Enrico Giustacchini
intervista a Max Papeschi
opere di Max Papeschi
opere di Max Papeschi
Una sua opera controversa ha scandalizzato la Polonia. I
giornali di tutto il mondo se ne sono occupati a lungo e con clamore.
“Eppure - spiega Max Papeschi - il senso di quel lavoro era
assolutamente chiaro. Io creo vere e proprie campagne pubblicitarie
provenienti da una realtà parallela ma plausibile. Racconto la società
di oggi ed i valori in cui crede, al netto dell’ipocrisia”
Mi puoi raccontare la vicenda di Poznan? Nei particolari, intendo. La stampa internazionale se ne è occupata, dandovi grande risalto. Come è andata veramente?
Quello che posso dire, è che l’opera in questione non è stata concepita espressamente per un’affissione pubblica, tantomeno in Polonia e davanti a una sinagoga, pensando ad un utilizzo di questo genere: avrei preferito altre location, ad esempio l’Iraq o l’Afghanistan o qualche Paese del Centroamerica.
Precisato ciò, mi sembra che si sia creato un eccessivo clamore rispetto ad un’opera il cui significato difficilmente può essere equivocato. Ritengo che i primi a fermarsi davanti alla svastica senza cercare di interpretare il senso dell’opera siano stati i mass media, e che la cosa sia stata fatta espressamente, in totale malafede. Tutti questi titoloni ad effetto, del tipo Choc in Polonia, servono ad attirare l’attenzione della gente, ad invogliarla a leggere l’articolo: alla fine, la mia impressione è che se le cantino e se le suonino da soli.
C’è tanta voglia (o necessità) di scrivere di polemiche, e dunque qualsiasi avvenimento che si possa prestare allo scopo diventa immediatamente la notizia del giorno. Ho letto di recente articoli a proposito di “presunte” polemiche su Cattelan riguardo ai suoi poster con Hitler. Francamente, sembrano dei copia-incolla di ciò che è stato scritto in relazione alla mia locandina (sempre con Hitler) utilizzata l’anno scorso a Treviso.
E’ stato detto che tu hai voluto trasformare le “icone cult”, così che al loro effetto tranquillizzante si sostituisca quello di portatrici di “incubo collettivo”. E’ questo un elemento che accompagna da sempre il tuo lavoro di artista?
Diciamo che è una parte importante del mio lavoro. Molte delle mie opere si possono descrivere come delle vere e proprie campagne pubblicitarie, provenienti da una realtà parallela tutto sommato possibile, se non probabile. Sono pensate come delle insegne propagandistiche alle quali mancano solo claim, body-copy e pay-off per essere complete; ciò che vendono e promuovono sono i valori su cui si fonda la nostra società al netto di ipocrisie e menzogne.
Raccontaci in breve il tuo percorso. Come ti sei avvicinato all’arte? Quali sono stati i tuoi esordi?
La mia attuale carriera è anche frutto del caso. Ho iniziato una decina di anni fa come regista teatrale e cinematografico. Il mio approdo al mondo dell’arte è avvenuto recentemente, per una serie di coincidenze. Nel 2008 avevo creato una pagina su Myspace che doveva servire a promuovere uno spettacolo teatrale che stavo scrivendo, e per dare forza alla stessa avevo realizzato con photoshop delle immagini che rappresentassero il senso del mio lavoro. Una gallerista di Milano mi ha contattato e mi ha chiesto di esporle nella sua galleria: ho accettato, e da lì è cominciata questa nuova avventura.
Quanto contano le tue esperienze come autore e regista?
Moltissimo; anzi, non vedo uno strappo netto tra la mia attività presente e quella passata. Alla faccia delle teorie di McLuhan, in questi anni di lavoro credo di aver cambiato il medium ma non il messaggio: in definitiva, ho sempre cercato di comunicare la mia personale visione delle cose, e ciò continua ad essere la mia occupazione.
Come ti rapporti con i grandi maestri del passato? Ritieni di essere, o di essere stato, influenzato da qualcuno di loro? E tra i contemporanei, a chi ti senti vicino?
Tenuto conto del mio background, credo di essere stato influenzato solo parzialmente sia dagli artisti del passato che da quelli contemporanei. Quando penso ai “grandi maestri” mi vengono in mente Kubrick e Fellini più che Giotto o Koons.
C’è chi ti ha definito un artista pop. A me sembra però che il ricorso reiterato ad elementi della quotidianità, di ciò che un tempo chiamavano “cultura popolare” (ad esempio, il fumetto) non vada interpretato come un’adesione a modelli iconici amati e condivisi, ma riveli al contrario un intento di denuncia, o almeno di riflessione, anche attraverso l’ironia e il divertimento, sul potere (a partire da quello, primario e inarrestabile, della comunicazione e della pubblicità). Sei d’accordo?
Vedo molti artisti che si limitano a dipingere, scolpire o rappresentare in altri modi le cosiddette icone pop senza aggiungere nulla, senza esprimere messaggi, in un vuoto pneumatico che trovo imbarazzante. Se gli artisti di questo genere sono considerati “pop”, decisamente preferisco non far parte del movimento. Io uso i personaggi “popolari” in quanto simboli di una cultura totalmente massificata: per me sono uno strumento, non un fine.
Essere spesso al centro di polemiche e dell’attenzione mediatica è, per un artista, più un vantaggio (dal punto di vista del ritorno di immagine) od una seccatura, un elemento di disturbo?
E’ di sicuro un enorme vantaggio per quanto riguarda una veloce e massiccia veicolazione delle opere e del nome.
Con il mio lavoro cerco di raccontare delle cose. Ovviamente, a più persone arrivano i miei messaggi, più tale lavoro ha un significato e un motivo di esistere. Certo non è bello trovare la propria casella di posta elettronica piena di insulti in più lingue, dove ti danno del nazista, del comunista, del blasfemo o dell’anarchico a seconda dei casi, ma penso - visto l’alto numero di idioti in circolazione - che ciò sia l’inevitabile rovescio della medaglia.
A che cosa stai lavorando in questo periodo? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto preparando i testi per il libro con i lavori che presenterò da Mondobizzarro a Roma a fine febbraio, durante la mia prossima personale nella Capitale.
Ad aprile partirà dall’Abnormals Gallery di Berlino un grosso progetto che andrà in giro per il mondo per un paio d’anni: le prime date saranno in Europa, poi, nel 2012, si sposterà oltreoceano. Sempre nel 2011, ma dopo l’estate, proporrò in Germania e in Italia una nuova serie di opere totalmente inedite e molto diverse dalle cose che si sono viste finora. Ma è presto per parlarne.
IL CASO
NaziSexyMouse, l’opera di Papeschi che ha turbato la Polonia (e non solo)
Un corpo femminile nudo con il volto di Topolino e, sullo sfondo, una svastica. NaziSexyMouse, l’opera di Max Papeschi riprodotta in un enorme manifesto affisso sulla facciata di un palazzo di Poznan per promuovere una mostra d’arte, ha sollevato in Polonia un’ondata di polemiche.
I proprietari della galleria sono stati denunciati da un politico locale, che si è richiamato alla legge polacca la quale vieta l’esposizione di simboli nazisti (la denuncia è stata peraltro archiviata dalla magistratura). Il poster è stato oggetto anche di azioni vandaliche, che lo hanno parzialmente distrutto.
Della vicenda si sono occupati con grande risalto giornali e tv di tutto il mondo.
Mi puoi raccontare la vicenda di Poznan? Nei particolari, intendo. La stampa internazionale se ne è occupata, dandovi grande risalto. Come è andata veramente?
Quello che posso dire, è che l’opera in questione non è stata concepita espressamente per un’affissione pubblica, tantomeno in Polonia e davanti a una sinagoga, pensando ad un utilizzo di questo genere: avrei preferito altre location, ad esempio l’Iraq o l’Afghanistan o qualche Paese del Centroamerica.
Precisato ciò, mi sembra che si sia creato un eccessivo clamore rispetto ad un’opera il cui significato difficilmente può essere equivocato. Ritengo che i primi a fermarsi davanti alla svastica senza cercare di interpretare il senso dell’opera siano stati i mass media, e che la cosa sia stata fatta espressamente, in totale malafede. Tutti questi titoloni ad effetto, del tipo Choc in Polonia, servono ad attirare l’attenzione della gente, ad invogliarla a leggere l’articolo: alla fine, la mia impressione è che se le cantino e se le suonino da soli.
C’è tanta voglia (o necessità) di scrivere di polemiche, e dunque qualsiasi avvenimento che si possa prestare allo scopo diventa immediatamente la notizia del giorno. Ho letto di recente articoli a proposito di “presunte” polemiche su Cattelan riguardo ai suoi poster con Hitler. Francamente, sembrano dei copia-incolla di ciò che è stato scritto in relazione alla mia locandina (sempre con Hitler) utilizzata l’anno scorso a Treviso.
E’ stato detto che tu hai voluto trasformare le “icone cult”, così che al loro effetto tranquillizzante si sostituisca quello di portatrici di “incubo collettivo”. E’ questo un elemento che accompagna da sempre il tuo lavoro di artista?
Diciamo che è una parte importante del mio lavoro. Molte delle mie opere si possono descrivere come delle vere e proprie campagne pubblicitarie, provenienti da una realtà parallela tutto sommato possibile, se non probabile. Sono pensate come delle insegne propagandistiche alle quali mancano solo claim, body-copy e pay-off per essere complete; ciò che vendono e promuovono sono i valori su cui si fonda la nostra società al netto di ipocrisie e menzogne.
Raccontaci in breve il tuo percorso. Come ti sei avvicinato all’arte? Quali sono stati i tuoi esordi?
La mia attuale carriera è anche frutto del caso. Ho iniziato una decina di anni fa come regista teatrale e cinematografico. Il mio approdo al mondo dell’arte è avvenuto recentemente, per una serie di coincidenze. Nel 2008 avevo creato una pagina su Myspace che doveva servire a promuovere uno spettacolo teatrale che stavo scrivendo, e per dare forza alla stessa avevo realizzato con photoshop delle immagini che rappresentassero il senso del mio lavoro. Una gallerista di Milano mi ha contattato e mi ha chiesto di esporle nella sua galleria: ho accettato, e da lì è cominciata questa nuova avventura.
Quanto contano le tue esperienze come autore e regista?
Moltissimo; anzi, non vedo uno strappo netto tra la mia attività presente e quella passata. Alla faccia delle teorie di McLuhan, in questi anni di lavoro credo di aver cambiato il medium ma non il messaggio: in definitiva, ho sempre cercato di comunicare la mia personale visione delle cose, e ciò continua ad essere la mia occupazione.
Come ti rapporti con i grandi maestri del passato? Ritieni di essere, o di essere stato, influenzato da qualcuno di loro? E tra i contemporanei, a chi ti senti vicino?
Tenuto conto del mio background, credo di essere stato influenzato solo parzialmente sia dagli artisti del passato che da quelli contemporanei. Quando penso ai “grandi maestri” mi vengono in mente Kubrick e Fellini più che Giotto o Koons.
C’è chi ti ha definito un artista pop. A me sembra però che il ricorso reiterato ad elementi della quotidianità, di ciò che un tempo chiamavano “cultura popolare” (ad esempio, il fumetto) non vada interpretato come un’adesione a modelli iconici amati e condivisi, ma riveli al contrario un intento di denuncia, o almeno di riflessione, anche attraverso l’ironia e il divertimento, sul potere (a partire da quello, primario e inarrestabile, della comunicazione e della pubblicità). Sei d’accordo?
Vedo molti artisti che si limitano a dipingere, scolpire o rappresentare in altri modi le cosiddette icone pop senza aggiungere nulla, senza esprimere messaggi, in un vuoto pneumatico che trovo imbarazzante. Se gli artisti di questo genere sono considerati “pop”, decisamente preferisco non far parte del movimento. Io uso i personaggi “popolari” in quanto simboli di una cultura totalmente massificata: per me sono uno strumento, non un fine.
Essere spesso al centro di polemiche e dell’attenzione mediatica è, per un artista, più un vantaggio (dal punto di vista del ritorno di immagine) od una seccatura, un elemento di disturbo?
E’ di sicuro un enorme vantaggio per quanto riguarda una veloce e massiccia veicolazione delle opere e del nome.
Con il mio lavoro cerco di raccontare delle cose. Ovviamente, a più persone arrivano i miei messaggi, più tale lavoro ha un significato e un motivo di esistere. Certo non è bello trovare la propria casella di posta elettronica piena di insulti in più lingue, dove ti danno del nazista, del comunista, del blasfemo o dell’anarchico a seconda dei casi, ma penso - visto l’alto numero di idioti in circolazione - che ciò sia l’inevitabile rovescio della medaglia.
A che cosa stai lavorando in questo periodo? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto preparando i testi per il libro con i lavori che presenterò da Mondobizzarro a Roma a fine febbraio, durante la mia prossima personale nella Capitale.
Ad aprile partirà dall’Abnormals Gallery di Berlino un grosso progetto che andrà in giro per il mondo per un paio d’anni: le prime date saranno in Europa, poi, nel 2012, si sposterà oltreoceano. Sempre nel 2011, ma dopo l’estate, proporrò in Germania e in Italia una nuova serie di opere totalmente inedite e molto diverse dalle cose che si sono viste finora. Ma è presto per parlarne.
IL CASO
NaziSexyMouse, l’opera di Papeschi che ha turbato la Polonia (e non solo)
Un corpo femminile nudo con il volto di Topolino e, sullo sfondo, una svastica. NaziSexyMouse, l’opera di Max Papeschi riprodotta in un enorme manifesto affisso sulla facciata di un palazzo di Poznan per promuovere una mostra d’arte, ha sollevato in Polonia un’ondata di polemiche.
I proprietari della galleria sono stati denunciati da un politico locale, che si è richiamato alla legge polacca la quale vieta l’esposizione di simboli nazisti (la denuncia è stata peraltro archiviata dalla magistratura). Il poster è stato oggetto anche di azioni vandaliche, che lo hanno parzialmente distrutto.
Della vicenda si sono occupati con grande risalto giornali e tv di tutto il mondo.
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